giovedì 12 agosto 2010

Dal Kenya, rose rosse per te. Belle chimiche e dannose

tratto da: www.terranews.it

Roberto Gallocchio

INTERVISTA. A colloquio con Cristiano Calvi, presidente del movimento Fiori e diritti: «Cresce la produzione di boccioli nel Sud del mondo, ma i fertilizzanti provocano disturbi neurologici, depressione e aborti spontanei».
I fiori, tra le più belle espressioni della natura, per cui gli italiani spendono circa 2miliardi di euro all’anno. Secondo l’Ismea nel nostro Paese oltre la metà della popolazione acquista fiori recisi o piante, la rosa è la regina incontrastata delle vendite: un fiore su 4 acquistato, il più delle volte proveniente dall’estero. L’Italia infatti è sì un produttore di fiori ma anche un forte importatore, sempre secondo i dati Ismea 2008 oltre 30mila tonnellate di fiori, pari a 155 milioni di euro, arrivano dall’estero, spesso transitano dall’Olanda ma provengono dalle piantagioni del Kenya, Uganda, Ecuador, Colombia ed Etiopia, di proprietà di società occidentali. Ma come funziona la coltivazione e il commercio internazionale dei fiori recisi? Quali le tecniche utilizzate e quali le condizioni di lavoro dei braccianti che se ne occupano? Approfondiamo questi argomenti con Cristiano Calvi, presidente del movimento “Fiori e Diritti”, nato nel 2005 all’interno de La Bottega Solidale Onlus di Genova.

La floricoltura nel sud del mondo è una fonte di sostentamento, quanta ricchezza prodotta rimane in loco?
La mano d’opera è locale e il business europeo, soprattutto in Africa, in mano a società inglesi, tedesche e in primo luogo olandesi. Secondo il Kenya Flower Council, associazione di categoria che rappresenta il 70% delle esportazioni del Paese, sono circa 40.000 i lavoratori occupati nel settore, in particolare nella produzione di rose. In Kenia lo stipendio medio non arriva a 45 euro al mese, considerando che le ore di lavoro arrivano anche a dieci, e che spesso i lavoratori sono ospitati in strutture dell’azienda che sottrae dallo stipendio i costi di vitto e alloggio. Abbiamo calcolato che per ogni rosa ad ogni bracciante va un terzo di centesimo di euro. L’Etiopia nel giro di in un anno, dal 2007 al 2008, ha raddoppiato le esportazioni di rose, per un valore di circa 150 milioni di dollari. Il motivo? In questo Paese i salari sono ancora più bassi e i terreni costano solo 200 dollari per ettaro.

In quali Paesi risultano abusi sulle condizioni lavorative?
Le condizioni dei lavoratori sono leggermente migliori in Paesi come il Kenia e l’Ecuador, grazie alle denunce delle Ong e una crescente consapevolezza interna. Rimane più drammatica in Etiopia e Uganda. In Etiopia spesso viene concesso un solo giorno di riposo ogni quindici, il guadagno medio è di 70 centesimi di euro al giorno. Dell’Uganda ci siamo occupati recentemente, dopo la morte di un lavoratore colpito da un getto di prodotti chimici, ultimo caso di una lunga serie, all’interno dell’azienda Rosebud. Una raccolta firme internazionale ha chiesto al governo l’attuazione di norme di sicurezza.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha denunciato che nelle serre vengono usati prodotti estremamente pericolosi. Quali sono?
Le sostanze chimiche sono utilizzate per accrescere la produzione, ma sono causa di varie patologie, eruzioni cutanee, problemi respiratori, disturbi neurologici, depressione, aborti spontanei. In Ecuador vengono usati oltre 30 prodotti chimici differenti e l’International Labour Right dichiara che il 66% dei lavoratori delle piantagioni floricole di questo paese ha problemi di salute connessi ai pesticidi. In Etiopia vengono usati fino a 120 prodotti chimici diversi, 15 dei quali classificati cancerogeni.

Esistono problemi ambientali, oltre alla diffusione di pesticidi?
Fertilizzanti e pesticidi stanno provocando gravi danni all’ambiente circostante le piantagioni, la loro diffusione inquina i terreni, le falde acquifere e l’aria. Un altro problema è l’utilizzo dell’acqua, la floricoltura ne consuma in grandi quantità, utilizzata a discapito delle comunità locali per il consumo diretto e per l’irrigazione. La coltivazione di fiori richiede dai 50 al 90 metri cubi d’acqua. In alcuni casi si sta verificando il prosciugamento di laghi, come nel caso del lago Naivasha, in Kenya, ormai privatizzato dall’olandese Sher, maggiore produttore di rose del mondo. Il lago era un paradiso di flora e fauna, ora viene prosciugato oltre che essere inquinato dai reflui di scarto.

Come affrontare la situazione sul piano internazionale?
Esiste una rete internazionale di Ong e sindacati che si occupa del problema. Le organizzazioni promotrici sono della Germania, dell’Olanda e della Svizzera, il movimento “Fiori e Diritti” si è collegato a queste sin dalla sua nascita e oggi opera con loro nel coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, dall’industria floricola, ai sindacati, a chi commercializza in Europa i fiori importati. Sono nate così due certificazioni internazionali, Ffp Fair flowers fair plants e Flp flowers label program, che hanno già una diffusione nel nord Europa e che fanno riferimento per la certificazione dei fiori al Codice internazionale di condotta che stabilisce gli standard relativi ai diritti sindacali, umani e ambientali.

Quale è invece la situazione del lavoro e dell’inquinamento nelle serre in Italia?
La situazione è diversa rispetto alle condizioni esistenti nei Paesi di cui abbiamo parlato, tuttavia esistono lati oscuri anche nel nostro Paese. Le problematiche sono principalmente legate all’utilizzo in nero di migranti del nord Africa e dell’est europeo, spesso sottopagati e senza permesso di soggiorno, e sull’utilizzo, spesso incontrollato, di prodotti chimici.

Il Movimento Fiori e Diritti, oltre all’opera di informazione e sensibilizzazione, cosa propone al consumatore italiano per cambiare le cose?
Nel 2007 è iniziato un confronto con il Distretto floricolo del ponente ligure, Ucflor, Mercato dei fiori di Sanremo, Associazione nazionale esportatori di fiori e dai sindacati Cisl, Cgil, Uil, pochi giorni fa le prime 16 imprese floricole italiane sono state certificate, sulla base di standard sociali e ambientali approvati da tutti gli organismi partecipanti che hanno dato vita all’associazione “Fiore Giusto”, riconosciuta a livello internazionale da Fep, il cui marchio sarà presente sui prodotti delle 16 aziende accostato a quello di “Fiore Giusto”. La certificazione è stata garantita dall’ente di certificazione indipendente RINA che ha operato proprie ispezioni nelle aziende. Lavoriamo perché altre realtà italiane del settore sottoscrivano il disciplinare, offrendo così al consumatore la possibilità di scelta di un prodotto sicuro sul piano del rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente.

Per approfondimenti
www.fioriediritti.org

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