martedì 4 gennaio 2011

In prima linea contro la pena di morte

fonte: Terra
Sergio D'Elia (segretario di Nessuno tocchi Caino)
L’ANALISI. Dall’Iran alla Cina, le esecuzioni capitali nel mondo sono in aumento. Anche il percorso per la moratoria però segna importanti traguardi. Il nostro Paese capofila nella campagna di civiltà. 
Il 2010 si è chiuso con una serie impressionante di esecuzioni in Iran. Negli ultimi anni questo Paese, con le sue centinaia di impiccagioni, ha conquistato l’orribile podio olimpico dei Paesi-boia del mondo, secondo solo alla Cina, ma primo in assoluto se si considera il rapporto col numero di abitanti. In un solo giorno, il 20 dicembre, 12 persone sono state impiccate in due diverse città iraniane. Una donna di 33 anni, Mahin Ghadiri, nel carcere di Qazvin, dopo aver subito 74 frustate. Undici uomini nella città di Zahedan. In base al sito ufficiale della magistratura, erano affiliati al gruppo sunnita Jundullah e quindi condannati come Mohareb (nemici di Allah), un’accusa che porta dritto alla forca perché i Mohareb sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte. Ad essere condannati non solo i responsabili di reati comuni, ma anche gli oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, kurdi, baluci e ahwazi.

Altre sette persone sono state impiccate il giorno di Natale nelle prigioni iraniane di Saveh, Sari e Ahvaz. Uno di loro era stato riconosciuto colpevole di «atti contro la morale», gli altri di traffico di droga, un reato molto diffuso in Iran che giustifica, a detta delle autorità, la massiccia pratica della pena di morte nel Paese.
Sicuramente oppositori politici erano i due impiccati il 28 dicembre scorso nel famigerato carcere di Evin a Teheran. Il primo, Ali Akbar Siadat, era stato arrestato nel 2007 e poi condannato a morte in base a un’accusa che in Iran non si nega a nessuno: spionaggio a favore di Israele. Il secondo dei giustiziati è Ali Sarami, un uomo di 63 anni, membro dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo iraniano. Sarami era uno dei più noti oppositori politici coi suoi 24 anni passati nelle carceri prima dello Shah e poi dei Mullah. L’ultima volta era stato arrestato nel 2007, dopo aver preso la parola nel 19° anniversario del massacro dei prigionieri politici iraniani del 1988. L’accusa, come al solito, quella di essere un Mohareb e di aver fatto «propaganda contro la Repubblica islamica». Tra gli elementi di prova, l’aver fatto visita al figlio Akbar rifugiato in Iraq nel Campo di Ashraf dove i Mojahedin hanno vissuto fino a poco tempo fa sotto protezione americana e dove ora, con il passaggio del campo sotto il controllo degli iracheni, vivono nel terrore, accerchiati, ridotti alla fame e perseguitati dal “democratico” governo di Nouri Al-Maliki.
 
Il 21 dicembre, per il settimo anno consecutivo, l’Assemblea generale dell’Onu ha condannato l’Iran per queste e numerose altre violazioni di diritti umani fondamentali. In Iran «è in atto un drammatico aumento delle esecuzioni al di fuori di ogni tutela giuridica internazionale; le violazioni dei diritti umani sono continue e serie, con punizioni e trattamenti disumani, degradanti e crudeli, comprese amputazioni e flagellazioni», è scritto nella Risoluzione approvata con 78 sì, 45 no e 59 astenuti. Trenta voti favorevoli in meno e una quarantina in più tra contrari e astenuti rispetto a un’altra Risoluzione, quella per la Moratoria universale delle esecuzioni capitali approvata lo stesso 21 dicembre dall’Assemblea Generale con 108 voti a favore, 41 contrari e 36 astenuti.
 
Un deciso passo in avanti rispetto alla storica Risoluzione pro moratoria del dicembre 2007 quando al Palazzo di Vetro i voti a favore furono 104, i contrari 54 e le astensioni 29. Un ulteriore passo avanti è stato compiuto anche rispetto al secondo voto sulla Risoluzione pro moratoria avvenuto nel dicembre 2008, quando si espressero 105 a favore, 47 contro e si astennero 34 Paesi. Il dato politico più significativo di questa terza Risoluzione dell’Onu riguarda la richiesta rivolta agli Stati membri di «rendere disponibili le informazioni rilevanti circa l’uso della pena di morte al fine di favorire un dibattito nazionale informato e trasparente». è un punto importantissimo, perché molti Paesi, per lo più autoritari non forniscono informazioni sulla sua applicazione, e ciò ricade sull’opinione pubblica dal cui convincimento può dipendere un maggior numero di esecuzioni.
 
L’Italia, con tutti governi che si sono succeduti negli ultimi 16 anni, ha dato un notevole contributo all’evoluzione positiva in atto nel mondo verso la fine dello Stato-Caino e il superamento del fasullo e arcaico principio dell’occhio per occhio. E il nostro Paese dimostra di voler continuare su questa strada, se consideriamo che proprio nelle ore in cui si votava di nuovo all’Onu contro la pena di morte, la Camera dei deputati approvava una mozione presentata dalla radicale Elisabetta Zamparutti che impegna il governo a controllare che il Pentotal, prodotto in Italia dall’azienda farmaceutica Hospira di Liscate, sia usato esclusivamente per scopi medici e non finisca nei penitenziari americani per la pratica dell’iniezione letale. A tal fine, la mozione prevede in particolare «che nell’autorizzazione all’immissione in commercio sia precisato che l’utilizzo del prodotto è consentito solo in strutture ospedaliere e nei contratti di compravendita sia chiaramente specificato che Hospira non consente la distribuzione del prodotto per la pratica dell’iniezione letale».
 
La posta in gioco è notevole e può significare una non breve moratoria di fatto delle esecuzioni in molti Stati della federazione americana. Diamo atto al ministro degli Esteri Franco Frattini di aver operato bene in questa vicenda, convocando alla Farnesina i vertici italiani della multinazionale americana Hospira e ottenendo il loro impegno a non vendere il prodotto a istituti penitenziari all’estero. Si tratta ora di vigilare perché i termini dell’accordo con la Hospira siano rispettati evitando che per vie traverse il Pentotal made in Italy finisca nelle mani di un boia americano… disoccupato a causa della penuria del farmaco previsto per l’iniezione letale. Sarebbe paradossale se ciò avvenisse dopo l’approvazione da parte delle Nazioni Unite della nuova risoluzione, fortemente sostenuta dall’Italia, per la moratoria universale delle esecuzioni capitali.

2 commenti:

  1. Questa è un'altra piaga che difficilmente scomparirà dal mondo. Un paio d'anni fa vidi un bellissimo documentario sul tema di "Report".
    Mi colpì molto la condizione delle carceri in Unione Sovietica qualcosa di sconcertante.

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  2. @ Davide:
    La pena di morte è una grave ed assurda vendetta. Mi piace credere che un giorno si possa rinunciare all'assurdo infantilismo vendicativo e finalmente crescere e comprendere che la vita è un bene prezioso e che l'esempio che uno stato dà non può essere dello stesso segno del male che combatte.
    Ma forse sono troppo ottimista? :-/

    Namastè

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